Ci sono racconti che vale la pena riportare integralmente anche se una certa prassi nell’editare in un blog, imporrebbe una certa sintesi. Del racconto di Marialuisa e Delio e della loro viaggio in Vietnam, non ci siamo sentiti di tagliare niente o raccontare alcunchè. Abbiamo voluto riportare integralmente il loro scritto perchè trasmette umanità e sensibilità. E’ il resoconto della visita a Enzo Falcone alla sua famiglia e sopratutto al nipotino sostenuto a distanza tramite il nostro progetto. Per tutto questo, pubblichiamo il loro resoconto in due parti.
Buona lettura e un grazie di cuore a Marialuisa e Delio.
Prima parte
Far le valigie significa intraprendere un viaggio verso l’ignoto. Ci si carica di adrenalina e si parte. Anche se le valigie sono metaforiche, anche se sono solo un libro in cui si sprofonda e che ci apre nuovi orizzonti. Certo, si può pure fuggire da qualcosa, ma è sempre e comunque una ricerca di nuovi approdi.
Ho fatto e rifatto migliaia di volte i miei bagagli, mentali e non, curiosa del mondo e della vita, forse anche solo per trovare un senso alla mia. Non c’è ancora per me una risposta più esauriente dell’espansione, simile alla gioia che provo quando entro in empatia con le persone autentiche e semplici, con i disarmati, siano essi i bisognosi o gli idealisti.
Ecco perché la mie ultime valigie portano sulla targhetta identificativa la destinazione: CarethePeople, Da Nang, Vietnam. L’appuntamento è alle 17.30: il dott. Enzo Falcone ci verrà a prendere in albergo per condurci a cena alla Casa del Sorriso.
Siamo piuttosto ansiosi e preoccupati. Delio oggi ha continuato a domandarmi che cavolo mi sia venuto in mente di venire fin qui, nel Vietnam centrale, inventandomi, dice lui, la scusa di incontrare il ’nipotino’ sostenuto a distanza, invece in realtà per far visita al dottore e all’organizzazione che ha messo in piedi, piccola, ma nota.
Il soave marito non ha smesso un momento di ribadire che noi siamo per Falcone solo una scocciatura. E poi, bla bla bla, ha aggiunto che il dottore è un personaggio famoso ed impegnato e che noi gli faremo perdere del tempo prezioso, quindi è unicamente per pura gentilezza che ha accettato di ricevere due poveri pensionati come noi, dai quali non potrà trarre aiuto né economicamente né come volontari.
Ha sciorinato a lungo questa “sbrodolosa” litania, Delio, persona buona e generosa fino al midollo, ma restia ad infastidire chiunque, finché mi sono sentita preda di una sindrome dissociativa, cioè in bilico tra spinte ideali e sensi di colpa.
In effetti io stessa mi sono, nelle scorse ore, più volte domandata perché mai ho insistito a voler dirottare su Da Nang. Non lo so, non mi è ancora chiaro.
Certo è che di tanto in tanto mi innamoro di scelte ideali fatte da persone normali, che però di anormale hanno la capacità di correre dietro ai loro sogni, e mi struggo finché non riesco a provare a me stessa che tali idealisti esistano veramente ed ancora. Oppure, più semplicemente, è perché, dopo un soffocante ventennio di politica italiana serva più che mai dell’affarismo, della corruzione e del clientelismo sento la necessità di respirare un po’ d’ossigeno morale.
Falcone l’ho incontrato in un libro sul Vietnam, descritto da un giornalista del Corriere: Corrado Ruggeri, in modo talmente vivace e ironico da rendermelo subito simpatico.
Enzo era un giovane laureato milanese, figlio di immigrati siciliani, quando decise di far le valigie e lasciare l’Italia per andare a praticare la sua professione là dove ce n’era più bisogno, con i Medici Senza Frontiere. A questo impegno ne seguirono altri, in qualità di esperto in malattie infettive e tropicali e di gestione di sistemi sanitari, con varie ong. tra le quali l’Onu e l’Unicef. Saltava di missione in missione, sempre pronto fare e disfare bagagli e partire per attuare nei posti più lontani quello che fin da ragazzo riteneva lo scopo della sua vita: aiutare gli altri perché ‘non si può essere felici da soli’.
La svolta arrivò, come spesso accade, per caso. Era in aereo diretto ad Hanoi, quando, poco prima dell’atterraggio allo scalo di Parigi, il comandante comunicò che il carrello non si apriva. Terrore generale. Si mise allora a disposizione dei passeggeri in quanto medico perché ‘fa sempre piacere morire sotto controllo sanitario’. Aiutò così anche una bella signora vietnamita a superare una violenta crisi di panico. L’avventura finì bene, l’aereo non si schiantò al suolo e la donna, dapprima riluttante all’amicizia con il suo soccorritore, a poco a poco subì il fascino del gentile dottore tanto da diventarne, a distanza di tre mesi, la moglie.
E da quel momento, con il supporto decisivo di Tam, donna capace, caparbia e determinata, il sogno di Enzo iniziò a concretizzarsi.
Desiderava infatti mettersi in proprio, il dott. Falcone, perché voleva realizzare una multinazionale del bene, un’organizzazione agile, in cui i costi vivi per gli impiegati e la struttura fossero ridotti al minimo, cosa non sempre possibile negli organismi internazionali soggetti almeno in parte alle leggi del mercato. Ma lui, per dirla brutalmente, non voleva fare marketing del dolore,
Così, con l’aiuto di amici sparsi un po’ dovunque, iniziò a costruire la sua ong, CarethePeople, e lo fece in Vietnam, paese la cui popolazione aveva tanto bisogno di supporto medico perché lì la diossina spargeva ancora i suoi effetti micidiali.
La diossina è un veleno potentissimo, con tossicità inferiore solo alle radiazioni nucleari, ed era contenuta nei defolianti o Agent Orange con i quali quarant’anni fa il Vietnam fu abbondantemente irrorato dagli aerei americani affinché la vegetazione scomparisse, mettendo in luce i rifugi dei guerriglieri vietcong o della popolazione resistente. I suoi effetti non si sono attenuati col tempo perché il suolo, e quindi la catena alimentare, ne sono stati contaminati.
Oggigiorno, si calcola che tra i quattro e i cinque milioni di vietnamiti ne portino ancora i danni, che si manifestano in malformazioni, tumori ed varie malattie. Lo sanno bene le donne che intendono avere figli e devono mettere in conto la possibilità di partorirne di deformi.
Da qui la necessità di agire in campo sanitario, ma non solo. Fu infatti subito evidente il bisogno di allargare il raggio d’azione all’aiuto alle famiglie povere e soprattutto ai bambini che, a causa dell’indigenza familiare, erano esclusi da un’adeguata educazione.
Con tutto ciò ben chiaro in mente partì l’avventura dei coniugi Falcone. Ora, dopo vent’anni, l’organizzazione ha compiuto opere notevoli: La Casa del Sorriso è un centro di accoglienza residenziale per bambini disagiati e per attività diurne a bimbi non residenti.
Il progetto ‘Fammi andare a scuola’ garantisce ai bambini poveri il diritto alla nutrizione, alle cure medicinali e allo studio.
Il progetto ‘Casa amica’ dona case di proprietà o aiuta a riparare abitazioni malridotte dopo inondazioni e tifoni (emergenza annuale.)
Il presidio sanitario è in via di ristrutturazione ed ampliamento.
Altre attività quali ‘Aggiungi un posto a tavola‘, per fornire un pasto caldo a chi non ha mezzi e ‘Microcredito‘, per conceder piccoli prestiti senza interesse a donne che intendono sviluppare attività in proprio sono in elaborazione.
Con tutti questi meriti della Falcone E. & T. abbiamo o no ragione, mio marito ed io, di sentirci inquieti ed inadeguati ad incontrarli?
Sono le 17.30. Ecco che il dottore arriva! Il cuore batte forte. Dall’ auto scende un uomo di media statura, dalla faccia simpatica e sorridente e con i capelli un po’ arruffati: “Ciao Delio, ciao Marialuisa, finalmente ci incontriamo! Che piacere! “, dice e afferra d’impeto le nostre mani, abbracciandoci poi con calore, come se ci si ritrovasse tra amici di vecchia data.
“Dai, salite, In macchina ci sono anche Tam e Francesco e Chiara, i nostri figli. Forza muoviamoci ad andare alla Casa del Sorriso, i ragazzi hanno preparato tutto per la cena e ci aspettano. Saranno affamati.”
Siamo rincuorati. Sì, questo approccio così semplice e cordiale ci ha proprio conquistati!
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